Nato prematuro a 26 settimane: la storia di Sebastian

Dal giorno in cui ho scoperto di essere incinta mi sono sempre chiesta come sarebbe stato il giorno in cui avrei partorito.

A casa mia ogni anno, nella data del mio compleanno mia mamma alle 9.30 (ora in cui sono nata) mi raccontava il giorno in cui ero venuta al mondo. Ovviamente ormai conosco la storia a memoria ma mi è sempre piaciuto ascoltarla e non vedevo l’ora di fare lo stesso con il fagiolino che avevo nella pancia.

Avevo 28 anni e il mio compagno Christopher ne aveva 25. Volevamo un bambino e la fortuna ci ha subito accontentato.

“Mio figlio pesava meno di un pacco di pasta”, il racconto di una mamma

Sono da sempre una persona impaziente e attendere 40 settimane mi sembrava un’infinità.

Non abbiamo voluto sapere il sesso, mi piaceva immaginare l’istante in cui in sala parto l’ostetrica ci avrebbe detto ”è una femmina” oppure ”è un maschio” e noi tutti felici per la sorpresa avremmo preso il nostro bambino in braccio, commuovendoci per la gioia.

E così, con il mio bel filmino in testa trascorrevo le mie giornate: stavo bene, niente nausee, niente dolori, lavoravo e andavo pure in palestra, la mia passione.

Ad Aprile alla 22 settimana di gravidanza feci la morfologica. “Tutto bene” ci disse il medico, “ogni cosa è al suo posto”. In quell’occasione però comunicai al ginecologo che da qualche giorno avevo delle perdite biancastre e prurito. Chiesi se non fosse il caso di approfondire, e lui senza neppure visitarmi mi rispose che in gravidanza le perdite sono cose normali. Io non mi preoccupai, in fondo non era niente di insopportabile.

La data presunta del parto era il 9 agosto.

Domenica 26 aprile decisi di accompagnare le mie atlete (nel tempo libero insegno ginnastica aerobica) a fare una gara a 200 km da casa, e mentre le preparavo per andare in pedana mi accorsi che qualcosa non andava, in un secondo ero zuppa, e una pozza d’acqua si formò ai miei piedi. Nessun dolore, niente... Cominciò così la mia corsa all’ospedale più vicino dove la prima diagnosi fu incontinenza, ”Signora potrebbe essersi fatta pipì addosso" mi dicono.

Non convinta decisi di fermarmi in un altro ospedale più vicino a casa per un controllo, lì mi ricoverarono per sospetta rottura del sacco.

La stessa sera poi cominciarono le contrazioni ma furono subito fermate dalle flebo.

Ero alla 25 settimana, da quel momento in poi non mi sarei più potuta muovere dal letto. Mi si prospettavano 3 mesi di ospedale prima di arrivare al termine.

A letto però rimasi solo 5 giorni.

Una volta finito l’effetto delle flebo le contrazioni ricominciarono, 1 al minuto.

La ginecologa mi visitò, pensò di farmi un altro ciclo di flebo, ma poi mi guardò e disse “Andiamo”.

Era mezzanotte e per fortuna Christopher era con me quella sera.

All’1.32 con solo 2 spinte nacque Sebastian… non era esattamente la scena che avevo immaginato.

L’unica cosa che l’ostetrica riuscì a dirci fu “è un maschio“. Neanche il tempo di reagire, di sentirlo piangere, di vederlo, che subito lo portarono via e la sala parto si svuotò.

Dopo qualche ora finalmente potemmo andare in TIN (terapia intensiva neonatale) un reparto che non avevo mai nemmeno sentito nominare.

Erano le 5 di mattina, luci soffuse, tante incubatrici una a fianco all’altra, il silenzio interrotto solamente dai bip bip dei monitor. Quei suoni che sono ancora presenti nelle mie orecchie e che non riuscirò mai a dimenticare. Mi avvicinai all’infermiera e sottovoce le dissi ”Sono la mamma di Sebastian“. Nel momento stesso in cui pronunciai quella parola MAMMA cominciai a tremare, io mamma, non riuscivo a realizzare.

Mi indicò un’incubatrice, alla postazione n. 2.

Non so descrivere cosa provai, vorrei dire di aver provato gioia ma credo di aver provato solo dolore. Appeso c’era un cartellino che diceva ”Sebastian 25+5 – 2 maggio 2015 – 715 gr – 31 cm”.

“Mio figlio pesava meno di un pacco di pasta”, il racconto di una mamma

Oddio, 715 gr, meno di un pacchetto di zucchero, meno di un pacchetto di pasta, meno del pesetto fucsia che le signore usano in palestra.

Provai un grande senso di colpa.

In quel momento però ebbi anche il tempo di guardarlo meglio: la pelle era scura, color ciliegia ma quasi trasparente, si vedevano sotto le ossa e le vene, niente capelli, occhi ancora chiusi, orecchie sottili come un foglio di carta, una specie di peluria bionda su tutto il corpo, braccia e gambe lunghe e magrissime... poi guardai le mani, meravigliose! Così aprii lo sportello e allungai la mia mano verso la sua, il nostro primo contatto. La sua mano mi stringeva, ed era grande come un mio polpastrello.

Cavolo, pensai, così imperfetto eppure già così perfetto! Un bimbo in miniatura.

Ci si presentò un neonatologo (altro nome nuovo), ci disse che ci aspettava un lungo cammino, fatto di passi avanti e di passi indietro, 26 settimane erano poche, tutto poteva succedere e molto dipendeva da lui. Io chiesi come potevo rendermi utile e lui mi disse che dovevo cominciare a tirare il latte.

Nel reparto c’era una sala apposta per farlo, io la chiamavo “Sala mungitura”, li c’erano tutte le mamme che ogni 3 ore, giorno e notte, si trovavano per aiutare i loro figli a sopravvivere. Il latte materno è fondamentale per i prematuri.

Da quel giorno cominciò la nostra avventura, venni dimessa dall’ospedale e sulla mia cartella c’era scritto: rottura delle membrane causate dalla candida, ecco cos’erano le perdite bianche!

Decisi di tornare al lavoro perché lavorando in proprio non potevo permettermi di restare a casa.

Abito in un paesino in provincia di Sondrio, ci sono 96 km che separano casa mia dall’ospedale dove era ricoverato Sebastian, circa 1 ora e 15 di macchina.

Ogni giorno andavo a lavorare alla mattina e al pomeriggio correvo all’ospedale per portare il mio barattolino di latte al mio bambino, e così trascorsero le prime 3 settimane.

Sono pochi i contatti che ebbi con mio figlio, troppo instabile e troppo pericoloso contrarre infezioni. Con il calo fisiologico arrivò a pesare 640 gr , non respirava autonomamente ma era aiutato da un respiratore chiamato CPAP, prendeva il mio latte attraverso un sondino che gli andava direttamente nello stomaco, aveva già fatto 2 trasfusioni di sangue, ed era pieno di flebo, cerotti e tubicini che gli coprivano tutto il corpo.

Sebastian era anche nato con la candida (che gli avevo trasmesso io) perciò stava già facendo cicli di antibiotici. Insomma così piccolino e già tutte quelle sofferenze. C’era un’infermiera sempre a sua disposizione che ogni 3 ore lo cambiava, lo medicava, lo puliva e lo girava, 3 ore a pancia in su e 3 a pancia in giù. Ogni giorno venivano cambiate lenzuola e tubicini, l’igiene era fondamentale! Cercavo sempre di assistere a questi cambi così da poter vedere Sebastian senza il vetro e così da poter fare qualche domanda e capire se potevo rendermi utile in qualcosa.

Finalmente il 21 maggio mi dissero che sia io che il papà potevamo cominciare la Kangaroo Therapy o Marsupio terapia, altra parola nuova. Mi informai, il contatto pelle a pelle era un’altra di quelle cose che insieme al latte materno fa i miracoli, speriamo sia così, pensai.

Tutti i giorni stavamo, io durante la settimana e Christopher nel week end, 2 o 3 ore al giorno a contatto pelle a pelle con il nostro bambino. Avevano ragione, è una cosa miracolosa, ma credo più per me che per il bambino. Sentirlo così vicino mi faceva sentire utile, sembrava che ogni cosa fosse tornata al suo posto, in quei momenti mi sentivo una mamma.

Sebastian cresceva lentamente, ogni giorno era un passo verso l’uscita, sembrava andasse tutto bene ma poi arrivò la prima infezione, poi non cresceva di peso, poi la seconda infezione, poi un’intervento per la chiusura del dotto di Botallo (una cardiopatia congenita). Quante parole nuove che imparammo, ci si aprì un mondo.

E poi, dopo 77 giorni, un pomeriggio arrivai in reparto e non trovai l’incubatrice, al suo posto c’era un magnifico lettino… e non fu tutto. Sebastian respira da solo! Quante cose in un solo giorno!

Tutto andava per il meglio.. ma quando cominciai a credere che ci stavamo avvicinando alla porta arrivò la mazzata finale. Durante la visita con la neuropsichiatra, questa ci chiese di poter prelevare un campione di sangue da poter spedire a Milano per fare una mappatura genetica del DNA del bambino. Ci disse che era solo una sicurezza in più, ma tra le righe capimmo che sospettava che Sebastian potesse avere una qualche sindrome, perlopiù sospettava la sindrome di Down.

Tutto il mondo crollò, fino a quel momento ero stata una roccia, non avevo mai dato segni di cedimento, ma non potevo sopportare anche quello. Perché tutto ciò stava accadendo proprio a noi!

Ogni giorno vedevo qualcuno uscire da quella porta ma il nostro momento sembrava non arrivare mai!

Il giorno dell’esito feci tutti i 96 km verso l’ospedale pregando, pregavo e pregavo sperando che mio figlio fosse sano, ma soprattutto chiedevo aiuto, chiedevo la forza per poter affrontare la situazione nel caso l’esito fosse stato positivo. Mi preparavo al peggio. In quel momento ritrovai la fede che avevo perso da bambina.

E la Madonna mi ascoltò: dopo un esito negativo e mille ostacoli finalmente dopo 111 giorni e dopo aver raggiunto 2,4 kg il 21 Agosto anche per noi arrivò il momento di tornare a casa!

L’avevo desiderato talmente tanto che ebbi paura, paura soprattutto di non essere all’altezza, sapevo essere mamma solo dentro alla terapia intensiva, al di fuori la mia vita era ancora la stessa, chissà se sarei stata capace di fare la mamma e di prendermi cura di una creatura così fragile. Piansi molto lasciando l’ospedale, era ormai come una casa e tutt’ora mi viene il magone quando ripercorro quella strada o quando porto ai controlli Sebastian e, entrando in reparto, sento l’odore familiare del disinfettante che per me è l’odore di mio figlio. Mi viene il magone quando leggo altre storie simili alla mia, o quando sento il bip bip di qualche macchinario o quando mettendo via i vestiti che ormai sono piccoli riprendo in mano quei body taglia 000 grandi come una mano e che a lui stavano enormi.

Ora Sebastian ha 9 mesi e pesa 7,1 kg, è un bimbo vivace e sorridente.

La prematurità ti cambia la vita, la TIN credo non si possa dimenticare.

Ma non è stata un’esperienza negativa, abbiamo avuto la fortuna di vedere dentro quella scatola magica di cristallo quello che solitamente gli altri genitori non possono vedere, abbiamo visto nostro figlio diventare un bambino. É un miracolo. É una forza della natura.

E bellissimo è stato dividere questo percorso con altri genitori, confrontarsi, aiutarsi, piangere e gioire insieme. In un momento così duro abbiamo conosciuto persone meravigliose che sono diventate amiche. Amiche con cui anche oggi condivido i progressi, i miei dubbi e i miei pensieri.

Ai genitori che stanno percorrendo questa strada dico di dar fiducia ai loro piccoli, la loro forza non si misura con i grammi che pesano, sembrano deboli ma sono dei guerrieri, loro daranno a voi la forza di affrontare quello che pensate di non poter fare! Date loro fiducia e affetto.. è l’unica cosa che chiedono!

“Mio figlio pesava meno di un pacco di pasta”, il racconto di una mamma

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